Premonizioni e perplessità

 
          di Pier Giuseppe Milanesi

 

 
Nell'edizione on line di La Repubblica è recentemente apparso un articolo dal titolo “Potrebbe esistere il sesto senso. La scienza riconsidera le premonizioni”  

Nell’articolo si riferiscono i risultati di una ricerca “condotta da tre scienziati, la specialista in neuroscienze Julia Mossbridge della Northwestern University, Patrizio Tressoldi, dipartimento di Psicologia dell'Università di Padova, e Jessica Utts, statistica all'Università di Irvine in California” Lo studio, pubblicato su Frontiers in Perception Science e dimostra che il nostro essere fisico sarebbe in grado di reagire in anticipo, modificando alcuni parametri fisiologici, ad eventi negativi che stanno per accadere. In ciò consisterebbe la base della premonizione.

Ben vengano queste notizie. E’ utile ed educativo che anche il grande pubblico sia tenuto aggiornato sulle conquiste della scienza. Ciò che non va bene è però la tendenza a cercare scoop ad ogni costo, ossia a presentare come una “scoperta” ciò che non lo è e non lo è più. E non è la prima volta, per quanto abbiamo avuto occasione di verificare, che la stampa presenta come scoop il risultato di ricerche che invece hanno già una loro storia, o che sono rifacimenti di esperimenti già compiuti anni - o addirittura decenni - addietro.

In questo caso, leggendo la notizia, infatti abbiamo fatto un piccolo balzo sulla sedia - nonostante il nostro peso non indifferente - nel constatare che La Repubblica presentava come cosa affatto nuova i risultati di un esperimento che si trova già descritto in un articolo pubblicato 15 anni or sono (1997) sul numero 84 della rivista Perceptual and Motor Skill, autori D. .J. Bierman e D. I. Radin dal titolo Anomalous Anticipatory Response on Randomized Future Conditions scaricabile addirittura on line a questo indirizzo - http://www.parapsy.nl/uploads/w1/anticip_pms97.pdf.

Insomma, già alla fine del secolo scorso, i due ricercatori erano giunti a documentare in via sperimentale questa curiosa reazione per cui il nostro corpo sembra in grado di segnalare in anticipo eventi negativi provenienti dal futuro variando i valori della conduttanza cutanea.

In entrambe le ricerche non si riesce a fornire alcuna spiegazione al fenomeno, anche perché assai probabilmente la sua comprensione richiederebbe una più avanzata conoscenza dei meccanismi che regolano i rapporti tra mente e cervello, tra anima e corpo, tra res cogitans e res extensa.

Tra l’altro, dobbiamo dire che l’esperimento di Bierman e Radin del 1997 era già stato citato nel saggio da noi pubblicato su Confinia Cephalalgica (Confinia Cephalalgica, 2008, XVII, 2)  a cui si rimanda il lettore. La discussione su queste risposte anomale del nostro corpo ad eventi futuri era inserita in un più ampio contesto problematico, sollevato da un esperimento ancora più sorprendente: quello effettuato da Benjamin Libet (B. Libet, Do We Have Free Will? in Journal of Consciousness Studies, 6, No. 8-9, 1999, 47-57), che aveva suscitato un ampio dibattito e una ridda di ipotesi che minacciavano di incrinare alcuni capisaldi concettuali sui quali si fondava e ancora si fonda il nostro approccio al problema dei rapporti mente/cervello.

Nell’analisi dei meccanismi che regolano le nostre scelte, Libet scopre che la parte esecutiva dell’azione precede paradossalmente il momento della scelta di compiere quell’azione. Il cervello anticipa di un centinaio di millesimi di secondo le scelte che noi “liberamente” faremo. Questo sorprendente riscontro sembrerebbe vanificare il concetto di libero arbitrio. Il nostro sistema cerebrale si appresta a compiere l’azione prima ancora che noi decidiamo di compierla, per cui la nostra “libertà” come libertà di coscienza sarebbe una illusione. Anche sulla base di questi riscontri. D. Wegner rincara la dose e scriverà un libro, The illusion of conscious will, in cui sostiene che la nostra stessa volontà sarebbe una pia illusione.

Il cervello anticipa le scelte della nostra volontà, la nostra pelle anticipa un contenuto di coscienza: che cosa significano queste cose? Perché il corpo “sa” in anticipo ciò che la coscienza ancora non conosce? E’ chiaro che una soluzione del mistero, che sembra in primo luogo portare il discorso esplicitamente sul tema della sincronicità dei sistemi, richiede probabilmente l’apporto di risorse teoretiche e concettuali reperite a livello interdisciplinare - dalla fisica del tempo (dove troviamo descritto il fenomeno della retrocausalità) alla filosofia. Nel frattempo è anche necessario ampliare il nostro bagaglio sperimentale moltiplicando le ricerche sulla struttura dei quel “tubo temporale” dentro il quale trascorre l’esistenza.

Per quanto riguarda i filosofi, Schopenhauer, nel suo Saggio sulle visioni in Parerga e Paralipomena, sostiene che la dimensione temporale in cui siamo collocati è una costruzione della coscienza; le radici più profonde del nostro essere affondano in una dimensione metafisica che potremmo definire “senza tempo”. Nietzsche si spinge ancora oltre, con la sua teoria dell’”eterno ritorno del medesimo” e sostiene a sua volta che tutto ciò che deve accadere in realtà è già accaduto una volta e continuerà ad accadere ciclicamente in eterno. C’è una gigantesca catena ferrea che lega tutte le cose, come gli oggetti di una giostra che continua a girare sempre allo stesso modo: il futuro è perciò anche passato. Il nostro corpo è fissato a questa giostra e gira, gira insieme a tutta la catena degli eventi, per cui è saldamente connesso sia agli eventi futuri che a quelli passati.

Leibniz, per spiegare l’armonia della natura, l’armonia delle monadi, immaginava che il sistema fosse stato in principio regolato (da Dio) come un insieme di orologi tutti sincronizzati che marciavano allo stesso ritmo e sempre marcavano la stessa ora.

Non sapremmo come rispondere alle teorie metafisiche di Schopenhauer e Nietzsche, ma, per quanto riguarda Leibniz una cosa pare certa: dagli esiti dei citati esperimenti “di frontiera” condotti nel campo delle neuroscienze, l’esistenza di una sincronia intersistemica non sembra sperimentalmente supportata: i tempi della materia non risultano essere gli stessi dei tempi dello spirito.